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Comunicazione

Ucraina: lo spettro dell’ultima tentazione dell’Occidente

di Francesco Antonich

“Nessuna fly zone: sarebbe escalation senza ritorno, una terza guerra mondiale; peggio, una guerra nucleare”. Il mantra dell’Occidente, a cominciare dal Presidente USA Joe Biden per finire al nostro Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, pone un limite alla strategia NATO, ma non spiega all’opinione pubblica tutte le opzioni alternative possibili per porre, almeno in stand by, la “Guerra di Putin” il quale, tra un suo monologo ed un altro con i leader europei, sa che deve sparare adesso, sparare ora e dopo un colpo sparare ancora, preferibilmente sui civili per costringerli ad implorareal loro presidente Zelensky la capitolazione dell’Ucraina.

L’Occidente sembra per ora contenere la propria azione alle sanzioni economiche – ad un popolo storicamente abituato alle ristrettezze economiche e ad oligarchi dalle molteplici risorse relazionali e finanziarie in giro per il mondo – e all’assistenza umanitaria accogliendo i profughi; c’è infine una sorta di tifo generalizzato per gli uomini ucraini che stanno resistendo nel loro Paese.

La compattenza dell’Unione europea e della stessa NATO, oltre alle sanzioni, sul fronte delle risposte e della responsabilità, appare in verità per lo più ancora solo programmatica. Un’unità  nella debolezza, ma pur sempre una coalizione che costituisce comunque un evento storico, ma di per sé ancora lontano dal poter concretizzare azioni con effetti immediati tali da strutturare una deterrenza efficace al climax di violenza e di devastazione che  Putin, per la sua guerra, ha conseguentemente pianificato, con qualche errore di valutazione strategica e tattica forse, ma con una demoniaca intuizione sulla reale debolezza dello spirito dei tempi, Zeitgeist, che Putin sa molto bene esser il carattere dei cittadini di Ue e USA e dei loro rappresentanti politici. Bisogna essere drammaticamente realisti, fino in fondo; i leader politici devono dare immediata risposta a questa domanda: gli USA, la NATO, l’Unione europea sono pronti, socialmente, psicologicamente e militarmente, ad impegnarsi in una difesa sistematica e sino alle estreme conseguenze delle frontiere dell’Europa democratica oppure non lo sono ancora, e se losono in quale dimensione, economica o anche militare? Un missile in Polonia potrà essere considerato un incidente, ma ne cade uno anche in Romania o in Repubblica Slovacca?

Un attacco hacker ad un sito governativo, militare, o di un’autorità sanitaria di una capitale baltica? La seconda domanda è ancora più drammatica e sottende una possibile, ultima tentazione dell’Occidente… forse esso sta ritenendo che, nell’epoca della dottrina geopolitica di Putin e sinchè egli rimarrà alla guida della Russia, il male minore, una rivitalizzazione del ruolo della stessa NATO ed un elemento di riequilibrio (più o meno instabile) possa essere costtuito dal tollerare un ritorno dell’influenza politica e militare della Russia nel perimetro che già fu dell’impero russo pre sovietico (Ucraina, tre paesi Baltici e Moldova compresi), unitamente  alla finlandizzazione di Paesi quali Romania, Bulgaria, insomma una sorta di riesumazione del Patto di Varsavia, o meglio di Putin? E quali sono, nell’eventualità, gli stati (leggi: uomini, donne bambini) da sacrificare? In caso contrario, come efficacemente contrastarlo, se al Cremlino non ci sarà chi farà, in qualche maniera, ragionare in modo diverso il buon ex agente KGB Vladimir?

Nel frattempo le sirene suonano, laceranti, da giorni anche a Leopoli e i crepitii della guerra si odono in Polonia, Repubblica Ceka e Romania…

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