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di Francesco Antonich
Il termine può sembrare poco più che un gioco di parole, una facile provocazione, ma non lo è: l’esperienza del passato non basta più, il futuro non è più quello di una volta, anche per la formazione, sia per preparare le competenze necessarie ad esercitare una professione, sia per supportare una fase di transizione professionale da un lavoro ad un altro. Anche nel campo della progettazione degli interventi formativi, quanto accaduto in questi mesi ha rotto schemi e messo in discussione esperienze acquisite per quanto concerne come far acquisire l’abc di un mestiere.
Il Covid 19 è stato il catalizzatore che ha accelerato un processo già in corso, lo ha reso evidente, costringendo tutti noi ad affrontare la necessità di innovare la formazione di giovani, lavoratori, professionisti, pure di lunga esperienza. In questi mesi, tra lock down e smart working, ci siamo resi conto di come ogni competenza, ogni funzione ed ogni esigenza in seno alle nostre organizzazioni, pubbliche e private, dall’istituzione più articolata allo studio professionale, siano mutate.
Anche per l’education; che poi, al di là del vocabolo inglese, risalta il concetto latino che dobbiamo imparare ad essere condotti e a condurre ciascuno di noi nella conoscenza di un mondo sempre nuovo. Ma non con metodi vecchi: da qui la provoncazione di “de-formare la formazione!”.
E non si confonda digitale, dad, e quant’altro con innovazione: i grandi cambiamenti sono sempre avvenuti… in presenza, faccia a faccia e nell’ambito di relazioni umane vere e concrete, ora conflittuali, ora collaborative. De-formare dunque significa ripartire dall’ascolto, degli imprenditori, dal loro modo di vedere il post pandemia, dalle loro percezioni in termini di bisogni, di prospettive, per capire come, insieme a loro, si possano sperimentare nuovi percorsi per intuire le nuove professionalità possibili, capire le nuove competenze necessarie, per imprenditori e per i loro collaboratori.
Bisogna però che giovani e… capitani di lungo corso, in momenti condivisi, in confronto diretto, si ascoltino gli uni gli altri, per condividere esigenze, definire proposte; mettere sul tavolo le diverse esperienze, aspettative e risorse, queste non più solo materiali, ma anche valoriali, etiche e di prospettiva. Oltre la solita cassetta degli attrezzi, dobbiamo imparare a condividere nuovi punti di vista, approcci e strumenti per progettare una nuova “bottega” delle professionalità, coerente con la realtà in evoluzione: non basta più intermediare tra una domanda da una parte e l’offerta dall’altra, occorre farle reagire insieme. Una de-formazione creativa che crei nuove matrici di saperi e inedite prospettive di business, che valorizzi anche scambi, differenze, percezioni e visioni intergenerazionali. In quest’ambito va tenuto conto della interdipendenza tra le varie realtà – e, sottolineo, generazioni – datoriali e di lavoratori.
Provare a superare la logica a volte limitativa della filiera, perché la de-formazione, riponendo il significato stesso di filiera orizzontale o verticale, e favorendo invece la nascita, anche spontanea, di matrici delle opportunità, grazie alla contaminazione tra settori spesso paralleli, ma non connessi, con conseguenti perdite di business. Stimolare e sperimentare dunque nuove matrici esperienziali e culturali, imprenditoriali, intergenerazionali e di percorsi professionali tra i settori tradizionali. manifatturiero, terziario di mercato, artigianato, commercio e nuove attività, solo in parte legate o rese possibili dal digitale. Un esperimento, forse, ma da non liquidare a priori, per non perdere un’occasione per ottenere un’efficace e contemporanea gamma di competenze e nuovi stili di lavoro, per costruire un Futuro del lavoro e dell’impresa interessante e fruttuoso e non attendere o, peggio, subire un avvenire qualunque.