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Il dialogo è partito dal significato del pane non solo e non tanto in seno alla propria religione, ma soprattutto nell’ambito universale, finendo per dipanare un filo rosso, sia sacro che laico, che da millenni unisce tre civiltà, tre antropologie, tre modi di fare comunità di fatto costrette dalla storia e dalla geografia a stare insieme
Impasto intrigante, il Pane, fatto di cereali, di terra e di acqua, elementi semplici del creato eppure, con il lievito, o con il sale, diventa metafora di ogni comunità umana, compresa la nostra città, fatta di terra, di acqua e di molte altre cose, perché come il pane una città è una realtà di impasto, composita, completa ma non complessa: Rappresenta benissimo Venezia: impasto d’acqua, di terra, di sale, completo, equilibrato, ma non complesso chi abbia voglia di conoscerne fino in fondo la storia, l’evoluzione, la levitazione della città.
Bianco, paglierino, scuro, chiaro, di qualsiasi forma… il Pane non conosce il vocabolo razza: il pane è colore, è comunità ancor prima che civiltà. Non è moda, perché un bambino della discarica di Manila, o delle Favelas di Rio, o un padre della famiglia che ci sta dirimpetto e che ha perso il lavoro e ha due figli non si pone il dilemma, se trova un miracolo chiamato pezzo di pane, se sia vegano o meno…
Il Pane è umile, si piega ad ogni espressione dell’Uomo laico, ad ogni volere di Dio: è accondiscendente nei confronti di ogni religione, ma anche così disponibile da adattarsi alle esigenze della salute, solerte nel modificarsi per chi è intollerante pur di essere veicolo di vita: sintesi e mai sincretismo del creato e dei valori universali e di ogni specifica cultura ed espressione di rispetto di ciò che va oltre l’Uomo.
Il Pane è figlio del lavoro, ne sanno qualche cosa i panificatori, ma ancor più è nipote della Creazione: nel suo impasto c’è il sudore prima dell’acqua, la terra dei campi prima del cereale, l’alchimia di tutte le cose e la responsabilità, dell’Uomo, di preservare ciò che da Dio, se credente, dall’Universo se alla ricerca della Verità, al lui è stato affidato perché si compisse il lavoro iniziato.
Il Pane non è né fast ne slow, né smart, né di destra né di sinistra, né di moda né passatista: il pane è contemporaneo, nel suo levitare ed espandersi, o nel suo strutturarsi croccante è l’attesa del divenire il pane è il germe dal quale si formano le comunità e quindi le città. Non c’è scavo archeologico che non ci faccia scoprire cereali e forni, pani conservati dalla storia per testimoniare la sua storia millenaria.
Il Pane è voce di popolo, profumo di civiltà, persino epos delle rivoluzioni. Attenzione a guardare con sufficienza il pane: ne sa qualche cosa, se la leggenda rivoluzionaria è attendibile, la regina Maria Antonietta che al valletto che, trafelato, l’informava: “Maestà, il popolo è tutto qui, in tumulto e reclama… non c’è più pane!”, la sventurata rispose “Beh, date loro i croissant”.
Ma abbiamo ancora rispetto del Pane? Per questo prima che iniziassero i lavori del convegno si è voluto, con grande semplicità, che i presenti si alzassero tutti in piedi e si è fatto un momento non di silenzio, ma di attesa, e di rispetto del Pane: come se attendessimo la sua levitazione durante la quale ciascuno possa riflettere, o pregare o, ancora, solo liberare la mente da ogni pregiudizio.
E’ un simbolo, ma un simbolo di grande semplicità ed umiltà, e per questo è potente nella sua universalità, il Pane.
Ancor più a fare quotidianamente, insieme, città. Perché dire pane e dire comunità e impastare e far lievitare, fare pane, insomma, vuol dire fare città. Da sempre, come ci racconta anche con un certo romanticismo lo storico del secolo scorso Heinrich Eduard Jakob (I Seimila Anni di Pane, Bollati Boringhieri).
Nel corso del Dialogos, senza mai parlare esplicitamente di integrazione e di immigrazione, si è invece dato come oramai naturale che anche Italia, comuni di poche migliaia di cittadini o capoluoghi metropolitani sono città inter-nazionali, vissuti da più “nationes”, da diverse culture e culti, tanto nobili come le religioni quanto quotidiane e veniali come la gastronomia, il commercio, i pubblici esercizi.
Un tema sul quale anche le rappresentanze delle imprese, ritiene Confcommercio, non può non impegnarsi nel conoscere, nel promuovere il necessario approfondimento e cogliere la sfida che interessa anche il futuro delle imprese e delle professioni che dovrà rappresentare nella città contemporanea ed internazionale.
Qui nel laboratorio urbano si fa anche alchimia, che impegna tutti, dalle scelte degli amministratori ai comportamenti dei cittadini, e non è facile distillare scelte che devono essere di equilibrio tra esperimenti di integrazioni, sincretismi di compromesso o scorie di credenza ostile gli uni verso gli altri: è la città con la propria prossimità, solvente di elementi diversi di un continuo sperimentare.
Ecco perché le città da sempre sono protagoniste di relazioni internazionali, ambienti di diplomazia, di confronti complessi ma sempre innovativi e propositivi, sia perché sedi di incontri, ancor più perché luoghi di azioni interculturali: sempre più indispensabile valorizzare la diplomazia della città, scambi tra sindaci, amministratori, cittadini, giovani e studenti di Stati diversi per riflettere e cercare soluzioni sui temi più cruciali: chi avrebbe pensato che a parlare del Pane, quasi per caso, in un tardo pomeriggio di settembre, senza accorgersene, si è finito per dare come normale la convivenza tra comunità diverse e riscoprire ruoli e prospettive delle nostre città? Potenza dell’universale semplicità del Pane!